Ho letto tante belle storie in questi giorni. Storie di bambini, di mamme, allenatori o educatori tutti uniti dagli strani rimbalzi di un pallone che in mano ad un bambino sembra sempre troppo grosso o troppo bizzarro anche solo da guardare.
Grassottello e lento come un piccolo elefante, sperduto in mezzo a tanti altri bambini che già sembravano, a 12 anni, dei rugbisti fatti. Ricordo anche un grande allenatore (Stefano Compiani), che oggi non c’è più. Mi sembrava tanto duro perché mi sgridava sempre ma in realtà mi stava davvero insegnando a diventare un uomo, a non mollare mai e che quello che tu vuoi te lo devi guadagnare sul campo come nella vita con tanti sacrifici, ma io ancora non lo sapevo. Mi ricordo che l’anno dopo con il passaggio in Under 14 fu proprio lui a voler portare due squadre a Treviso, “perché ci dovevamo essere tutti” e non era importante che io finissi nella squadra “B” con delle orribili maglie color bianco/vinaccia rimediate chissà dove (i nostri colori erano rosso e blu) con i nuovi e quelli “meno bravi”, una sorta di armata Brancaleone senza speranze e senza gloria.
Il Topolino me lo ricordo così, con una finale tra Rugby Prato “B” e Ladispoli che segnò un piccolo miracolo sportivo, perché la squadra dei “nuovi”, quella che “vabbé basta che giochino” arrivò davanti a quella di “quelli bravi” che erano davvero forti che vincevano i campionati regionali e la Coppa Degli Appennini. In quella partita io c’ero, sempre lento, sempre impacciato e bonaccione come un piccolo elefante, ma con un sorriso grande come il cuore di ogni rugbista… Due anni dopo (perché ancora si poteva farlo a 16 anni) esordivo in Serie B.
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