Ho sempre pensato ogni domenica avesse un'anima. Me le ricordo bene quasi tutte. Giornate passate a perdere la voce e me stesso dietro corse infinite, pianti, sorrisi e rimbalzi beffardi. Lì, con i i piedi congelati quasi sempre in mezzo al campo. L'ultima è quella che ricordo meglio. Lontano, in un posto sospeso tra il verde e la pioggia.
Ricordo il momento in cui a farmi compagnia, sono arrivati i ricordi agrodolci di una vita interrotta, oh si, c'erano stati i colori, tanti e diversi, ma ora non c'erano più. Ad ascoltare bene, era come se piovesse su di me un silenzio improvviso. Mi riempiva di un senso di perdita così travolgente che temevo la mia carne potesse implodere in quel vuoto dell'anima. Pur senza volere, in quel momento odiavo quel terreno sotto i piedi, e pensare che una volta, ovunque andassi ogni campo era stato la mia oasi. Ricordo che continuavo a camminare, senza un dove e forse senza nemmeno un perché. Non ricordo se volessi sparire io o che sparisse quel rettangolo di terra. Ricordo solo che, qualsiasi cosa volessi in quel momento la volevo disperatamente.
Dov'era finita la mia vita, quell'insieme di ricordi preziosi che consideravo la mi eredità? Dov'era quel legame con le persone che amavo? Perché si finisce per odiare ciò che si è amato più intensamente? E proprio ora che sono libero, capisco di aver odiato quel posto più di ogni altra cosa nell'universo. Quel miscuglio indefinibile di erba e di fango, l'odore dello spogliatoio, le voci che si mischiano ai gesti semplici di chi sa e non ha bisogno di parole. Fino a quel momento, quello era stato il mio mondo intero, pieno di gioia. Forse con un po' d'incoscienza avrei potuto perfino definirlo amore. Mi restava solo un odore sbiadito, un tenue miscuglio pioggia e di mare, il profumo di chi non ha paura di sporcarsi le mani nel fango. Sapevo cos'era quell'odore indescrivibile. Non so se si può dire che le emozioni hanno una fragranza, per me quello era l'odore della voglia di scappare e continuare a correre fino a quando i pensieri svaniscono nella fatica.
Sono rimasto li, in silenzio, ad inspirare profondamente, a sentire il terriccio umido che si ostinava a rimanere, insieme ai pochi ciuffi d'erba che erano stati lasciati, in quel particolare pezzo di terra.
Costruirci un gioco sopra era stato, un lavoro minuzioso, a volte noioso. A volte. Anni spesi a cancellare gli scheletri della paura da troppe menti, senza poter raccogliere i frutti della fatica. Ricordo ancora il dolore. Era il cuore, si. Era il cuore che urlava il dolore acuto di questa ingiustizia. Non so quanto tempo sia passato mentre me ne stavo lì, trasognato e malinconico, con gli occhi serrati contro il vuoto. Ricordo che il silenzio era assordante. Era come vagare per il campo cercando disperatamente una qualche connessione ad un mondo ormai perduto, isolato e solo nella vastità del mio essere in frantumi.
Ho messo troppo di me stesso in questo posto, e ogni impronta, ogni filo d'erba, ogni raggio di sole che si posa indisponente tra l'acca e le righe di gesso è parte integrante di quello che sono e che sono stato. Fa ancora troppo male al momento affrontare i ricordi, ma so che con il tempo queste tracce di vita mi porteranno di nuovo calore. Io intanto aspetto qui, sospeso tra i colori e le corse infinite, tra il profumo dell'erba e l'odore dei sogni.
2 Commenti
Bel blog,
RispondiEliminanon è da tutti i maschietti
far trasparire cotanta sensibilità.
Ti ho messo fra i miei preferiti,
se ti va passa da me
(il blog è ancora in costruzione:
mancano un sacco di post)
altrimenti grazie comunque ;-)
Grazie mille, arrivo solo ed in ritardo causa un po' troppe cose da fare, vengo volentieri a sbirciare nel tuo mondo.
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